JOEL-PETER WITKIN


a cura di Enrico Stefanelli
in collaborazione con Baudoin Lebon Galerie, Parigi

Immorale, osceno, depravato, grottesco, blasfemo… gli aggettivi che i perbenisti assegnano al lavoro di Joel-Peter Witkin. Sì, le sue opere sono di una violenza visuale inimmaginabile, costruita in studio con la sapienza di un chirurgo (e non è casuale il riferimento al bisturi).
I suoi soggetti, fortissimi e mai inventati, sono le persone che il Cielo ha punito con malformazioni di crudeltà inverosimile. Le sue visitazioni nei cassetti della Morgue, che custodiscono poveri resti di sconosciuti, per renderli soggetti privilegiati delle sue opere, è la volontà di restituire loro un’esistenza oltre l’arco temporale che a ciascuno è concesso. Witkin riscatta questi corpi martoriati, e repulsivi, questi frammenti, rendendoli protagonisti della vita. Una vita che inventa in elaboratissime messe in scena, per restituire loro una dignità, che la società mai riconoscerà. Ripensando alle proprie immagini, Witkin afferma: “Infine, perché faccio queste opere? L’ho fatto per la gloria di Dio e per infiammare le anime dell’Uomo. Questo è ciò per cui vivo.” Di certo, mai nessuno prima di lui ha creato immagini simili in fotografia, squarciando la pesante cortina della tradizione.

(da un testo di Enrico Stefanelli)