DIARY OF A CENTURY — JACQUES-HENRI LARTIGUE


a cura di Alessandra Mauro
prodotta e realizzata da Donation Jacques Henri Lartigue
in collaborazione con diChroma photography

Il tempo era quasi sempre bello per Lartigue. Le sue giornate trascorrevano sotto un cielo azzurro, riempito da un sole giallo, pieno, con tanti raggi a illuminare ogni cosa. A leggere i suoi diari, tenuti per tutta la vita, insieme al racconto di quello che fa ogni giorno, su ogni pagina troviamo l’annotazione metereologica. Le giornate di questo elegante e ricco signore francese trascorrevano dunque serene, sgombre dagli affanni che assillano gli umani e soprattutto, sotto un cielo che a volte era beau, altre ancora très beau e spesso perfino très, très beau. Nato a Courbevoie, non lontano da Parigi, il 13 giugno 1894, Jacques-Henri Lartigue per tutta la sua lunga vita ha coltivato una serie di passioni. Quella per le donne (per la prima moglie Bibi Messager, per la bellissima Renée dagli occhi neri e profondi, per la seconda moglie Coco e infine per Florette, con cui trascorrerà il resto dei suoi giorni), per gli amici, per la bella vita, per la pittura e in modo più segreto ma costante, per la fotografia. Infatti, se i diari servono a registrare in modo puntiglioso ogni momento vissuto, la fotografia sembra un indispensabile aiuto per fermare il tempo. O almeno, per illudersi di fermarlo. L’apparecchio fotografico sarà insomma un compagno fedele per Lartigue che riempirà ben 130 album di immagini. All’inizio i soggetti sono le persone di famiglia, il fratello, il gatto Zizzi, la mamma, la cugina più grande. Poi, verranno le foto dei momenti spensierati e felici: le gite al mare, i soggiorni a Biarritz o in costa azzurra, le vacanze in montagna. Ma anche le donne ricche e impellicciate che sfilano per il Bois de Boulogne e altre folgoranti immagini della Belle Epoque. Ben presto, le fotografie che ritaglia e incolla negli album diventano non solo la registrazione di situazioni e personaggi familiari ma anche arditi esperimenti visionari. Come se, per esercitarsi al meglio, la memoria avesse bisogno anche di inventare l’attimo da ricordare, renderlo ancora più unico, più speciale. Quando negli anni Sessanta il patrimonio fotografico di Lartigue verrà conosciuto, ci si sbalordirà della bellezza, semplice e immediata, sofisticatissima eppure fresca e leggera, delle sue fotografie che restituiscono la cronaca di un’esistenza privata e celebrano il valore profondo e immutabile della fotografia come registrazione, ricordo e memoria personale. Lartigue – ha scritto Richard Avedon – ha fatto quel che nessun altro fotografo ha mai fatto, prima o dopo di lui: ha fotografato la sua propria vita. Come se avesse sempre saputo, fin dai primi anni, che le piccole cose racchiudono i veri segreti dell’esistenza.