Location: Villa Bottini, Via Elisa, 9 – Lucca


BEHIND THE WALL – DAVID APPLEBY

Testo e mostra a cura di David Appleby

Un giorno, nel 1981, suona il telefono. Era Alan Parker. Mi stava chiamando per sapere se ero disponibile a prendere parte al suo prossimo progetto: un adattamento cinematografico di The Wall dei Pink Floyd. Non sapevo molto dei Pink Floyd all’epoca, solo che l’album The Wall era arrivato in cima alle classifiche nei giorni in cui era nata mia figlia, ma non avevo idea di cosa trattasse.

Avevo già lavorato con Alan Parker come fotografo di scena sui set di Bugsy Malone e Midnight Express ed ero molto onorato di essere nuovamente coinvolto in un suo nuovo progetto. Decisi quindi di ascoltare l’album, che alla fine ha sedimentato ed è cresciuto in me. Mi chiedevo però come Alan l’avrebbe trasposto sul grande schermo, avrebbe affidato la narrazione solo alla musica?

Vero maestro nel suo mestiere, Alan ha un incredibile occhio fotografico, che lo ha reso un regista eccezionale e lo ha portato a un risultato sorprendente.
Come fotografo sul set, sento sempre che sia d’obbligo cercare di essere il più fedeli possibile allo stile e lo spirito del film, ritrarre quell’essenza in uno scatto. Un altro aspetto importante è quello di documentare il “dietro le quinte”.

La mia esperienza durante le riprese del film è stata molto diversa da quella di Alan. Mi ricordo che osservavo sempre, cercavo di essere invisibile e di catturare quei momenti che sentivo si sarebbero trasformati in fotografie interessanti: Alan che improvvisa con una chitarra di cartone, la torta di compleanno a sorpresa di Bob e “I Ragazzi di Tilbury”.
Grezzi skinheads ma gran lavoratori, con un umorismo e una personalità tanto brillanti quanto la loro interpretazione nel film. E poi c’era Bob Geldof. Che era costantemente “sul pezzo” e riusciva ad anticipare quello che facevo e spesso e volentieri ci si buttava dentro. Bob si divertiva. Faceva in modo di assicurarsi che fosse così.

Le fotografie di questa mostra, a mio parere, rappresentano al meglio quei ricordi, ma non sarebbero diventate una mostra se quei 10.000 negativi bianco e nero originali non fossero stati disseppelliti dalla cripta degli Studios di Pinewood, dove sono stati conservati per quasi 30 anni.
Scattare in bianco e nero, invece che a colori, in quel periodo era un requisito necessario perché non tutte le pubblicazioni nel mondo erano in grado di produrre stampe a colori. Mi è sempre piaciuto scattare in bianco e nero: tutto deve essere bilanciato, tutto deve “funzionare”, in assenza di colori, per sedurre l’occhio dell’osservatore. La storia e l’immaginario di questo film erano talmente potenti che riuscire a catturare quell’atmosfera surreale e sconvolgente è stata per me una meravigliosa sfida.