ELEONORA OLIVETTI


a cura di Giuliana Scimé

Il fotocollage fu una delle primissime tecniche sperimentali della storia della fotografia. Gli autori storici lo inventarono per dimostrare la loro straordinaria abilità e per svincolare, finalmente, la fotografia dall’umiliante ed unico ruolo di ripresa della realtà, nel quale si pretendeva rimanesse relegata. In altri termini, l’arte era territorio di pittori, la fotografia era mezzo meccanico riproduttivo. La storia del fotocollage è quanto mai affascinante e non priva di sorprese.
In questo segmento della sperimentazione creativa si inserisce il lavoro di Eleonora Olivetti che riesce a conciliare passione per la fotografia, cultura e gli studi sulla genetica delle popolazioni umane. Naturalmente, con un simile background di studi ed interessi, la fotografia non poteva essere per lei un semplice strumento illustrativo o riproduttivo.
Le opere della Olivetti si distinguono per tecnica, lusinga visiva ed invenzione scenografica. Fotografie a colori di genti, luoghi e Paesi, ritagliate, e ricomposte secondo personali e bizzarri schemi ambientali, sono applicate su un’antica incisione che fa da fondale. L’incisione, recuperata con pazienza nelle piccole botteghe e nei mercati delle pulci, aderisce allo stesso luogo fotografato oppure viene riproposto in un’interpretazione favolistica. I piani prospettici come la presunta verità della fotografia, nel lavoro dell’Olivetti, sono sconvolti per creare un’immagine inesistente nella realtà, e quanto mai corrispondente alla reazione emotiva del tutto intima e personale. Il gioco, di serissima riflessione, prende l’osservatore in una serie infinita di coinvolgimenti e meccanismi mentali attraverso la ricerca dei frammenti, il tentativo di ricostruzione, i rapporti ambientali e l’analisi introspettiva del proprio universo visionario.